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9 Marzo 2020

Ecco le regole per l’emergenza COVID 19

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27 Novembre 2019

La parola carotide ricorre spesso e normalmente nei discorsi della gente comune: tutti sanno quante sono, dove approssimativamente si trovano nella “geografia” del corpo umano e che ad un certo punto si ammalano, si restringono e in molti casi bisogna intervenire chirurgicamente, perché un restringimento della carotide, può portare all’ictus. Possiamo dunque parlare di operazione della carotide anche come azione di prevenzione.Le carotidi sono i principali vasi arteriosi che portano l’80% del sangue al cervello, il restante 20% lo portano le arterie vertebrali. Le carotidi sono posizionate nel collo: una a destra e una a sinistra. Come sempre, tutto parte da una buona valutazione dei fattori di rischio e della storia clinica. L’esame di primo livello, quello importante e molto spesso sufficiente, è un buon ecodoppler dei tronchi sovraortici, sottolineo buono poiché, essendo un esame molto richiesto e spesso abusato, molti si improvvisano e non sempre viene fatto correttamente. Personalmente, quando leggo un referto di un esame ecodoppler, prima guardo la firma di chi l’ha eseguito e dopo il contenuto.

Perché bisogna operare le carotidi? Quando è necessario l’intervento?
Le carotidi si ammalano. La patologia più frequente è una placca di aterosclerosi che si localizza proprio alla biforcazione della carotide. La carotide a livello dell’angolo della mandibola si sdoppia in due rami: uno va alla faccia, alla lingua ed è quello meno importante, l’altro, si orienta dritto al cervello e la placca di solito si forma proprio in questo ramo. Per completezza di informazione bisogna specificare che l’aterosclerosi non è una malattia della sole carotidi, ma notoriamente di tutte le arterie e una delle localizzazioni principali è proprio agli assi carotidei. La placca carotidea cresce molto lentamente ma può andare incontro ad alcune complicanze acute molto gravi come la trombosi o l’embolia, ovvero un pezzo di placca si stacca e questo piccolo tappo viaggia verso il cervello e va a ostruire un’arteria cerebrale. Quello che può accadere non siamo in grado di prevederlo, è del tutto casuale: va in una zona “muta” del cervello può dare piccoli disturbi, a volte transitori che possono durare meno di 24 ore o persistere alcuni mesi, oppure finisce in un centro importante e in alcuni casi provoca disastri definitivi. Un paziente colpito da ictus ha tre possibilità: 1/3 guarisce completamente, 1/3 resta paralizzato, 1/3 muore in conseguenza dell’ictus. Da qui l’interesse a diagnosticare precocemente quelle placche che possono dare questa complicanza.

Le carotidi si ammalano in silenzio o ci mandano dei segnali?
Ci sono stenosi asintomatiche che i pazienti scoprono casualmente. Il campanello d’allarme normalmente sono piccoli attacchi ischemici che durano meno di 24 ore: il paziente vede in maniera offuscata o nero per qualche istante o può esserci la paralisi ad un braccio. La vertigine, contrariamente a ciò che pensa la gente, non è un sintomo carotideo. Neanche lo svenimento.
Possiamo parlare di percentuale di restringimento?
Parlare di percentuale è troppo generico, risale a studi internazionali ormai datati che hanno dimostrato, che oltre una certa percentuale di restringimento e quindi di stenosi della carotide (quella interna che va al cervello) calcolata tra il 60-70%, aumenta in modo significativo il rischio di ictus. Ma il ragionamento è troppo semplicistico, perché oltre alla percentuale di stenosi, dobbiamo guardare al tipo di composizione della placca. Siamo in grado di avere informazioni sulla struttura sia eseguendo un buon ecodoppler che un’angioTAC. Ci sono placche ritenute stabili che si complicano con meno facilità e quelle altamente instabili, quelle soffici formate da accumuli di colesterolo, cellule in disfacimento che sono maggiormente a rischio di complicazioni quali ad esempio la trombosi.

I farmaci possono scongiurare l’intervento?
No. Le stenosi al di sotto di una certa percentuale e con caratteristiche di stabilità della placca non si operano, normalmente si agisce sui fattori che provocano l’aterosclerosi e quindi sugli stili di vita. Oltre il 60-70% di stenosi i farmaci sono poco efficaci. Ultimamente c’è una rivalutazione della terapia medica ottimale: una dieta sana, abbassare il colesterolo anche con le statine, fare molto movimento, tenere controllata la pressione. Ci sono poi farmaci che agiscono sulla capacità del sangue di trombizzare e sull’evoluzione della placca: sono gli antiaggreganti . Pare che tutti insieme possano in alcuni casi rallentare la progressione della placca, secondo i più ottimisti che la stabilizzino. Ci vorrà ancora qualche anno per saperne di più.
Quali sono i rischi dell’intervento?
Paradossalmente ma eccezionalmente gli stessi nei quali può incorrere il paziente con la stenosi, ovvero l’ictus che può essere causato dalle manovre chirurgiche, ma questo si può prevenire con un buon monitoraggio della funzione cerebrale mentre l’arteria viene temporaneamente chiusa per ripulire la placca. In Italia il rischio di un incidente grave prima o dopo l’intervento è inferiore all’1%. Un rischio concreto che va confrontato con quello della malattia lasciata a se stessa oppure con la sola terapia medica che è molto superiore: 30-40%. Un ‘altra complicanza può essere l’infarto cardiaco.
Si possono operare entrambi le carotidi e contemporaneamente?
No. È fortemente sconsigliato operare le carotidi bilateralmente nello stesso intervento, è troppo elevato il rischio che il cervello non sopporti la chiusura temporanea dell’arteria in tutte e due le carotidi.

Una volta riaperte si possono restringere?
Si, ma la percentuale è bassa. Ci sono due tipi di restenosi: la prima precoce, si ripresenta di solito entro due anni ed è dovuta a una specie cicatrice esagerata che cresce all’interno fino a restringere la carotide in modo importante. La più tardiva, a distanza di 5-6 anni si può riformare la placca aterosclerotica. La cosa importante è fare sempre i controlli periodici dopo l’intervento.

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7 Novembre 2019

Quando si parla di pressione arteriosa si devono prendere in considerazione diversi fattori. In primo luogo si deve guardare la gittata cardiaca. Il ventricolo sinistro spinge nell’aorta un determinato volume di sangue se si prende in considerazione un determinato lasso temporale.

Quel valore è la gittata cardiaca. Altresì si deve anche considerare che la resistenza che i vasi oppongono.
Attenzione, il tutto non avviene in maniera continua e questo tende a far oscillare la pressione arteriosa. Da qui ne derivano valori differenti che possono essere riscontrati.
Dobbiamo, quindi, conoscere alcuni termini specifici che aiutano a capire la situazione. Quella che comunemente viene chiamata pressione massima è la pressione arteriosa sistolica. Si tratta del valore massimo con cui il flusso sanguigno viene espulso dal cuore contratto in fase di sistole. Questo valore viene calcolato attraverso il volume del sangue, la forza della contrazione ventricolare e l’elasticità arteriosa. Un calcolo complesso, quindi.
C’è, poi, quella che si definisce pressione minima ossia la pressione arteriosa diastotelica. Questa viene misurata quando il cuore è a riposo e si prendono in considerazione durata della diastole e resistenze periferiche. La differenza tra i due valori è la pressione arteriosa differenziale.
I valori della pressione possono essere influenzati da diversi fattori tra cui l’età, lo stato d’animo, il peso, le temperature esterne e alcune patologie. I valori normali che dovrebbero sempre essere rispettati sono i seguenti:
Pressione massima: 110 – 140 mmHg
Pressione minima: 70 – 90 mmHg
Pressione media: 40 – 50 mmHg

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5 Novembre 2019

Infarto del miocardio
L’infarto del miocardio (che è il muscolo cardiaco) è di norma causato dall’occlusione improvvisa di un’arteria coronaria e la causa principale responsabile dell’occlusione coronaria è l’aterosclerosi (formazione all’interno delle coronarie di accumuli di colesterolo che portano alla formazione delle placche aterosclerotiche).

Come ha origine
Da sola, però, la placca aterosclerotica non è sufficiente a determinare l’occlusione completa del vaso. Quest’ultima si verifica quando la placca si rompe o si infiamma e sulla sua superficie si forma improvvisamente un coagulo di sangue (trombo).
Più raramente può avvenire a seguito di uno spasmo coronarico (improvvisa contrazione della parete delle coronarie che blocca completamente il flusso sanguigno) o come conseguenza di malattie infiammatorie (aortiti, vasculiti sistemiche), traumatiche (dissezione aortica) o immunitarie (rigetto da trapianto cardiaco).

Come si manifesta:
Alcuni attacchi cardiaci si manifestano in maniera improvvisa e intensa, non lasciando quindi alcun dubbio, nel soggetto colpito, di che cosa stia accadendo.
Molti altri, invece, cominciano lentamente in maniera subdola con lieve dolore o sensazione di disagio.

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28 Ottobre 2019

COLESTEROLO: TUTTI I RISCHI PER LA SALUTE

Il colesterolo è un costituente naturale dell’organismo. Presente nella membrana delle cellule, viene utilizzato anche per produrre alcuni ormoni, la vitamina D e gli acidi biliari. Tuttavia, eccessi di colesterolo nel sangue possono mettere in pericolo la salute, tanto che livelli elevati di questa molecola rappresentano uno dei principali fattori di rischio per le malattie cardiovascolari.

 

I RISCHI CORSI DALLE ARTERIE

L’ipercolesterolemia aumenta il rischio di coronaropatie. Non solo. Circa un terzo delle malattie cardiache ischemiche che colpiscono la popolazione mondiale è attribuibile al colesterolo alto. Secondo le stime sarebbero ben 2,6 milioni i decessi causati ogni anno dall’ eccesso di colesterolo, pari al 4,5% del totale dei decessi.

A destare particolare preoccupazione sono le cosiddette LDL (Low Density Lipoproteins), cioè il colesterolo cattivo che, depositandosi nella parete delle arterie, favorisce l’aterosclerosi, cioè la formazione di placche che la ispessiscono, la induriscono e ostacolano la circolazione del sangue.

 

LE CONSEGUENZE DELL’ATEROSCLEROSI

In presenza di aterosclerosi delle coronarie il muscolo cardiaco cuore può andare in carenza di ossigeno. La placca aterosclerotica può infatti ostruire l’arteria o rompersi, rilasciando frammenti che possono a loro volta occludere un vaso sanguigno; in entrambi i casi il flusso di sangue viene ridotto significativamente o addirittura interrotto, con conseguente diminuzione o blocco dell’apporto di ossigeno. Fra le possibili conseguenze di questi fenomeni sono inclusi l’angina pectoris, caratterizzata dalla comparsa spesso durante uno sforzo fisico di dolore al centro del petto, che può irradiarsi alle braccia e/o alla mandibola, e l’infarto del miocardio. L’ostruzione di un’arteria può inoltre causare ictus cerebrali, le cui conseguenze variano in funzione dell’area interessata e dell’ estensione. Il problema può inoltre verificarsi anche a livello dei reni e degli arti inferiori, portando rispettivamente a malattie renali croniche e alla comparsa di crampi durante la deambulazione (claudicatio intermittens) e, nelle forme più gravi, alla necrosi dei tessuti (cancrena).

 

 

L’IMPORTANZA DEL COLESTEROLO BUONO

D’altra parte, anche i livelli del colesterolo “buono” (le cosiddette HDL, High Density Proteins) sono importanti. In questo caso è però necessario che le concentrazioni di colesterolo non scendano al di sotto di una soglia minima oltre la quale il rischio cardiovascolare aumenta, soprattutto se è contemporaneamente presente un eccesso di trigliceridi.

 

COME PROTEGGERE LA SALUTE

Per proteggere la salute è quindi importante mantenere i livelli delle diverse forme di colesterolo entro limiti considerati nella norma. Fortunatamente il colesterolo, pur essendo uno dei principali fattori di rischio cardiovascolare, è controllabile. I primi aspetti su cui agire per tenerlo sotto controllo sono attività fisica e alimentazione che, se appropriate, aiutano a ridurre la mortalità per malattie cardiovascolari e la necessità di sottoporsi a angioplastiche o interventi di by-pass. Rivolgersi a un medico o a un nutrizionista per sapere come modificare nel modo più opportuno il proprio stile di vita aiuterà a ottenere i migliori risultati possibili senza mettere in pericolo la propria salute.

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21 Giugno 2016

Con l’arrivo dell’estate il primo estenuante problema con il quale le donne si ritrovano a dover fare i conti sono le vene varicose, causate da stanchezza e da una cattiva circolazione del sangue.

Purtroppo l’insufficienza venosa cronica è un disturbo pressoché genetico che può esser nettamente acuito da una vita sedentaria e una cattiva alimentazione.

Qual è dunque la migliore dieta da seguire per attutire il disturbo? E quali sono i cibi da tenere sempre in tavola per ovviare all’imbarazzante e antiestetico problema?

Prima regola da seguire è quella di fare un’abbondante scorta di alimenti che contengono un alto quantitativo di vitamina C; via libera dunque ad arance e limoni. Questi due agrumi rafforzeranno in maniera efficace le vene ed i capillari , evitando che il grasso si accumuli e si depositi nel sangue.

Secondo step lo zenzero; è una radice consigliata da tutti gli esperti, considerata addirittura miracolosa tante sono le sue ingenti proprietà benefiche. Lo zenzero è infatti un analgesico naturale che riduce il dolore e l’infiammazione. Stimola la circolazione sanguigna e rende le arterie molto più elastiche.

Un altro rimedio che quasi nessuno ama ma che in realtà rappresenta un’ancora di salvezza è l’aglio che (purtroppo) deve esser consumato crudo e a digiuno, al massimo accompagnato da un dissetante bicchiere d’acqua. Per quanto l’odore non sia dei migliori, l’aglio è un amico naturale che aiuta in ogni situazione, e in questo caso favorisce la circolazione e migliora la salute del cuore.

I mirtilli, l’avocado e il salmone selvatico sono altri tre cibi che contribuiscono al radicale miglioramento della situazione. Questi alimenti aiutano a mantenere bassa la pressione sanguigna e diminuiscono il rischio di ipertensione.

Infine i semi di zucca sono altrettanto provvidenziali: custodiscono al loro interno molta vitamina E e sono un perfetto snack da sgranocchiare in qualunque momento della giornata: prevengono la coagulazione del sangue e contrastano l’invecchiamento delle vene.

 

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13 Maggio 2016

Le cause, da ricondurre prevalentemente ad una cattiva circolazione, possono essere dovute ad una tendenza ereditaria, ma anche a situazioni quali un peso eccessivo, una gravidanza, alla sedentarietà o a delle attività che costringono a stare sempre in piedi.

La scleroterapia è una metodica che affronta questo inestetismo andando ad iniettare nei vasi sottili e nei capillari un agente chimico sclerosante, che danneggia le pareti venose provocando una reazione infiammatoria che provoca, a sua volta, il riassorbimento del capillare stesso.

Subito dopo il trattamento, le aree trattate possono presentare rossore e gonfiore, e potrebbero restare dei lividi che in genere scompaiono nel giro di un paio di settimane. Dopo circa un mese, se necessario, si può procedere con ulteriori sedute, che hanno una durata di 30-60 minuti. Il medico ideale a cui rivolgersi in questo caso è uno specialista vascolare.

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